venerdì 3 ottobre 2008

Corsica: così estranea, così familiare.

La Corsica è un'isola incantevole, afflitta solo dalla presenza dei propri indigeni e dei loro cugini, i turisti francesi. I primi sebbene vivano sul turismo non si prendono la briga di apprendere a scuola qualsiasi lingua straniera: non l'inglese, né il tedesco o l'italiano; inoltre tendono frequentemente a trattare i viaggiatori come seccatori. Tuttavia trovo un po'anacronistiche e inappropriate queste loro manifestazioni di irrequietezza, soprattutto dal momento che si spaccano i fondi europei senza batter ciglio (operazione che in linguaggio tecnico si può definire "sputare nel piatto in cui si mangia"); ho interpretato in chiave di colorito folklore locale le schioppettate che rendono illeggibili i cartelli stradali o le indicazioni dei nomi dei paesi e delle città cancellate e trascritte in Corso.
O ancora, il florido merchindising basato su figurine, magliette e persino teli da mare raffiguranti la sagoma di un guerrigliero accucciato a prender la mira col suo fucile. I pochi contatti avuti coi turisti francesi sono stati per nulla costruttivi: il più delle volte provavano a farci la pelle alla guida dei loro camper-armati e dei fuoristrada-corazzati.
Il nostro viaggio inizia a Bastia dove una volta sbarcate dal traghetto non trovando da dormire in un hotel dall'aria simpatica (si chiama Belvedere) ripieghiamo sul noleggio di un'auto. Facciamo una tirata sino a Cordara, fermandoci di tanto in tanto per strada a guardarci attorno o a fare il bagno in una delle molte, invitanti spiagge che incontriamo per strada. A me guidare piace moltissimo e le strade della Corsica sono divertenti da percorrere, strette, artitiche e contorte quanto quelle Liguri. Arriviamo infine in un campeggio (si chiama DeBrodi) sconclusionato ma vitale: è popolato per lo più da ragazzi della nostra età (tra cui un delizioso vicino di tenda, bruno, cotto dal sole e con quel tipo di corporatura asciutta e nervosa che negli uomini mi attrae parecchio) e dà sul mare; attraversata la ferrovia ci si trova in una spiaggia lunga e sabbiosa piuttosto bella, anche se personalmente non amo molto la sabbia: preferisco di gran lunga le rocce.
Partiamo poche ore dopo alla volta di Porto. La frutta è ovunque inspiegabilmente costosissima: la terra sembra fertile e a quanto leggo nella guida l'interno del paese è prevalentemente agricolo; non capisco come una superficie come quella dell'isola, considerevole in proporzione ai quattro gatti che la abitano (l'intera Corsica non fa nemmeno trecento mila abitanti, meno della metà di quelli della città di Genova!) non riesca a fornirgli frutta e verdura in abbondanza. Perciò ci fermiamo per strada a raccogliere fichi selvatici, piccolini ma dolcissimi. Ne riempiamo un sacchetto di carta, problema frutta cara risolto. I fichi d'india ci fanno altrettanto gola ma siamo intimidite dalle loro minacciose, subdole spine. Scappiamo da Porto dopo aver frettolosamente dato un occhiata alle sue stradine, ad un ponticello ed alla torre dei Genovesi: troppa gente, troppe comitive e famigliole.
Arriviamo a Tiuccia in un campeggio tranquillo e ordinatissimo tenuto da una famiglia dall'aria mite e distesa che mi ricorda molto quella di alcuni miei conoscenti che hanno un ristorante con bed and breakfast molto bello in Piemonte. Il campeggio della Corsica si chiama Usomannu mentre il ristorante in Piemonte si chiama La Viranda.
Ci precipitiamo ad Ajaccio perché ho letto prima di partire che ci dovrebbero essere delle giornate Napoleoniche con fuochi e parate; ma non c'è traccia di niente di tutto ciò, se si esclude una pallosissima processione per l'assunzione (è ferragosto) e qualche bancarella. Aspettiamo e scrutiamo il cielo ma non succede nulla; nel frattempo ci gratifichiamo facendo shopping e bevendo birra fresca in un curioso bar. Il campeggio si chiama Le mimose, non è un granché, si trova in un posto orrendo in piena speculazione edilizia ed è gestito da villici piuttosto scortesi. In tenda la notte formiche, formiche, tante formiche ovunque, sembrava di stare dentro a un quadro di Dalì; la Ady ne fa strage io mi limito ad aprire un occhietto, girarmi dall'altra parte e richiuderlo persa in una delle mie fantasie/sogni in cui una di queste formiche entra dal mio orecchio e si mette ad abitare nella mia testa arredandola e curiosando di tanto in tanto tra i pensieri che ha stipati disordinatamente e a casaccio in un angolo del mio cervello per farsi spazio e occupare uno posto arioso e ampio. Dopo aver vissuto in un formicaio anche io desidererei abitare uno spazioso loft ai piani alti. L'indomani finiamo a Porto Poddu in un bel campeggio con una terrazza sulla spiaggia; il paesino invece fa cagare. Mi manca mia sorella che è in America e che non vedo da un po', sono i giorni in cui sento più nostalgia di lei; in verità sono un po'malinconica in generale. E' per via del paesaggio così familiare ed estraneo allo stesso tempo. Con la sua buganvillea e i suoi pini marittimi richiama i posti familiari della riviera ligure, le periferie delle città richiamano il ricordo ormai sepolto della Calabria e dei suoi paesoni smisurati ed incompleti; anche le fisionomie della gente e i sapori forti dei suoi salumi e formaggi mi fanno tornare in mente la Calabria.
Il vento è la cosa più bella della Corsica. Arriviamo a Sartene, nell'entroterra sperando che allontanandoci dalla costa si possa un po'evitare la massa insopportabile di persone (siamo entrambe ufficialmente sociopatiche a questo punto del viaggio). Ma funziona come le partenze intelligenti: sono tutti furbi come noi e si procede per gli stretti e incantevoli vicoli della città in fila come per una processione in onore del dio del turismo di massa. Resistiamo quasi un'ora, buona parte della quale viene spesa in un altro curiosissimo bar/ex-benzinaio: ci sono ancora persino gli spazi per le pompe della benzina e per la sosta delle auto che stanno facendo rifornimento, sui quali sono disposti i tavolini esterni. Il luogo è gradevole e rassicurante, poiché frequentato esclusivamente da indigeni che si conoscono tutti tra di loro.
Bonifacio è tutta bianca e cola dalla cima di uno spuntone di pietra tenuta su dalle sue fortificazioni e spiata dall'indiscrezione delle sue molte torri. E'infestata da turisti e piena di negozi di souvenir. In basso sta il porto (che sia colato giù dallo spuntone come accade con la panna sopra al gelato?) e lì finalmente troviamo un internet caffè (dobbiamo assolutamente acquistare i biglietti del traghetto per tornare sul continente e più i giorni passano e meno chance abbiamo di trovare posto, essendo altissima stagione). Ripartiamo cercando un posto meno frequentato possibile per passare la notte; troviamo un ranch il cui campeggio è dislocato negli spazi di un bosco tra un albero di sughero e l'altro; tiriamo un sospiro di sollievo: le tende sono solo la nostra, quella di una coppia di italiani sulla cinquantina e una famigliola di francesi le cui due bimbe corrono qua e là fermandosi di tanto in tanto per chiederci stupite se davvero dormiamo in una tenda tanto minuta.
Folelli è l'ultima tappa del viaggio; il campeggio Cascade non è male se non per le terribili, sadiche, docce fredde; in realtà ci sarebbe l'acqua calda ma per principio rifiutiamo di acquistare il gettone da mezzo euro che garantirebbe cinque meravigliosi, tiepidi minuti.
Il mattino seguente ci attende un salasso: spesa di prodotti tipici; ma non possiamo resistere alla tentazione di portare indietro con noi almeno un po'di questi sapori intensi per poter mangiare e far assaggiare a casa un pochino di Corsica. Terrine di figatellu e salami sempre di figatellu; formaggi caprini e pecorini alle erbe; marmellate di fichi con noci e composte varie da abbinare ai formaggi. Salami di cinghiale. Vino rosato. Birra Colomba, bianca ed alle erbe. Whisky locale (per la curiosità di sapere come gli riesce). Pan d'epices (perché quello che compro in Italia è rivoltante). Crema di marroni in tubetto ed in barattolo di latta. Biscottini al vino ricoperti da spessi grani di zucchero da offrire ai colleghi al rientro in ufficio. E ovviamente la potente senape francese in semi. Dopo lo shopping alimentare ci dirigiamo verso Etang De Biguglia dove la spiaggia è lunga, sabbiosa e cosparsa di conchigliette di ogni tipo che raccolgo per farne collanine ed orecchini. Nel tardo pomeriggio una ragazza molto simpatica e alla mano ci conduce a spasso per lo stabilimento della Pietra, la birra locale più diffusa, una birra chiara insaporita alla castagna, la Colomba, che è bianca e alle erbe, una limonata, la Corsa Cola e il whisky P&M.
Torniamo in tenda, ultima notte, dovrei sistemare lo zaino ma non ne ho voglia, lo comprimerò saltellandoci sopra e spingendo l'indomani mattina. Il viaggio di ritorno ci sembra infinitamente più lungo di quello di andata, la striscia di Corsica che si intravede si assottiglia sino a sparire, trangugiata dall'orizzonte.

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